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Il viaggio di Annalisa (e il mio) dentro una paura invisibile

Eravamo alla mia solita panchina, in cima alla Rocca di Manerba, con il panorama del lago che si apriva davanti come un quadro dipinto a mano. Il sole del mattino ci scaldava il viso, l’aria era frizzante e profumava di erba e di libertà. Avevamo appena aperto il nostro sacchetto della colazione: due brioches tiepide, un termos di tè caldo e un silenzio pieno di pace.

È stato proprio lì, mentre addentava un pezzetto di cornetto integrale, che Annalisa ha detto con un tono quasi ironico:

“Lo sai che io ho paura di andare in vacanza?”

Ho alzato lo sguardo, curioso. Non perché non avessi mai sentito parlare di questo tipo di ansia, ma perché era la prima volta che qualcuno me lo diceva con quella naturalezza disarmante, come si confessa una piccola stranezza che però pesa tanto dentro.

Annalisa ha continuato a parlare, mentre il lago rifletteva la luce e le parole galleggiavano leggere nell’aria.

“È da giorni che non dormo. Ogni volta che penso a cosa potrebbe succedere durante il viaggio, mi sento bloccata. Mi sale l’ansia solo all’idea di partire.”

Da lì è cominciata una conversazione intensa, a tratti sorprendente, e come spesso accade… anche terapeutica. Per lei, certo, ma anche per me.

Mi raccontava che ogni partenza le sembrava una prova da superare, piena di incognite e cose che “potrebbero andare storte”: l’auto in panne, una valigia dimenticata, un malore improvviso. E la sensazione di essere lontana da casa, fuori dal suo controllo, rendeva tutto ancora più difficile.

Non era la destinazione a spaventarla, ma l’atto stesso del partire, dell’abbandonare quel piccolo mondo fatto di abitudini, sicurezze e “zone comode”.

Così, tra un sorso di caffè e uno sguardo al lago, abbiamo cominciato a esplorare insieme le sue emozioni, come se fossero parte di quel paesaggio. Le ho chiesto:

“Ti è mai capitato di avere paura anche quando devi fare qualcosa di nuovo, anche se ti incuriosisce?”
E lei ha risposto: “Sempre. È come se qualcosa in me volesse tenermi al sicuro, ma finisce per tenermi ferma.”

Quel giorno non abbiamo fatto solo colazione: abbiamo fatto un piccolo viaggio. Non con le gambe, ma con le parole. Abbiamo visualizzato scenari, respirato profondamente, parlato di come l’ansia si può affrontare. Le ho proposto un’idea semplice: immaginare se stessa, su una spiaggia tranquilla, con il rumore delle onde e il corpo rilassato. Un esercizio piccolo, ma potente. Lo ha provato. E qualcosa si è mosso.

Poi le ho suggerito un esperimento: fare una piccola uscita, in un luogo vicino, in compagnia di qualcuno di fidato. Non per sfidarsi, ma per raccogliere prove. Prove che può farcela.

E le ho parlato del respiro. Di come, quando arriva l’ansia, possiamo tornare lì: nel corpo, nel presente. “Respira lentamente, ascolta il battito, senti i piedi a terra. Sei qui. E sei al sicuro.”

Non so se quella brioches era la più buona della sua vita, ma sicuramente è stata la più liberatoria.

Qualche settimana dopo mi ha scritto:

“Sono partita. Avevo paura, ma sono partita lo stesso. Ho sentito l’ansia, sì, ma non le ho dato il volante.”

Ecco, questo è il bello del coaching: non si tratta solo di superare ostacoli, ma di accorgersi che puoi camminare anche con la paura, senza lasciare che ti fermi.

Se anche tu ti riconosci in queste parole, se l’ansia ti trattiene e ti fa perdere pezzi di vita che vorresti vivere, sappi che puoi iniziare anche tu da una panchina, una colazione e una buona conversazione.

Loris Bonomi

Approfondimento Psicologico

 

Secondo la psicologia, l’ansia anticipatoria legata ai viaggi nasce spesso da un bisogno di controllo e dalla difficoltà a gestire l’incertezza. Quando lasciamo il nostro ambiente sicuro, il cervello tende ad attivare segnali di allerta, anche se non ci sono pericoli reali.

Le esperienze passate negative (come malesseri in viaggio, brutti ricordi, disagi fisici) possono rinforzare questa ansia. Altre volte è una paura più sottile, legata all’autonomia, alla solitudine o alla responsabilità di dover gestire tutto da soli.

Le strategie più efficaci? La psicoterapia cognitivo-comportamentale, ma anche piccoli gesti quotidiani: visualizzazione, respiro consapevole, esposizione graduale e supporto. E, perché no, un coach con cui camminare mentre ti racconti.

Perché ogni viaggio fuori comincia sempre… da un movimento dentro.

Dottoressa Iani www.camminandoconuncoach.it

 

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